Cosa cercano i business stranieri che vogliono localizzarsi in Italia?

Quando una azienda decide di entrare in Italia per fare business o per investire deve sicuramente tener conto di molte variabili: dalla cultura alla legislazione, dalla mentalità agli aspetti che impatteranno sulla logistica e la metteranno nelle condizioni di adattare la propria catena del valore per poter davvero creare i presupposti della disruption di livello locale, ad esempio.

La localizzazione consente, dovunque avvenga, di cogliere una serie di opportunità di sviluppo e prosperità per l’impresa, come, nel breve – medio termine, un aumento del volume d’affari e sul medio – lungo periodo aumentare la competitività e costruire barriere nei confronti della concorrenza. Significa però anche confrontarsi con i problemi del luogo, i retaggi culturali e sociali, una regolamentazione sconosciuta, delle dinamiche sociali non sempre facili da comprendere e una mentalità diversa.

Localizzarsi in Italia, diciamolo, non è semplice, noi italiani, poi, lo percepiamo come qualcosa a cui le aziende straniere, per via della burocrazia, non vorrebbero mai imbattersi. Ma il nostro mercato ha delle eccellenze che possono risultare interessanti, come anche una posizione geografica strategica da secoli. Non è così remota l’idea, quindi, che aziende estere decidano di aprire la propria avventura italiana o che fondi di investimento guardino con interesse alle eccellenze locali.

Di cosa hanno bisogno i nuovi arrivati del nostro mercato, allora, e che attività dovrebbero prevedere per garantirsi un buon inizio?

  1. Sviluppare relazioni con le istituzioni, a livello nazionale ma anche e soprattutto locale, per essere al corrente di eventuali cambiamenti e novità oltre che per intervenire eventualmente nel dialogo politico.
  2. Creare relazioni con gli stakeholder locali, per entrare nelle dinamiche del territorio e cogliere tutte le opportunità locali al meglio, oltre che contribuire positivamente al suo sviluppo.
  3. Aprire un dialogo costruttivo con le associazioni di categoria ed i sindacati per garantire esternalità positive localmente.
  4. Creare relazioni con la stampa ed i giornalisti, sia nazionali che locali, generalisti e di settore. Le PR sono un mezzo molto forte per raggiungere le persone e crearsi una buona reputazione, attivano la traction, e un nuovo arrivato ha bisogno , oltre che di una traduzione precisa dei suoi messaggi, di comprenderne il panorama, talvolta intriso di ideologia, per poter decidere che mosse fare. Certo, in ogni paese il panorama mediatico è diverso e saperlo affrontare richiede il supporto di una risorsa locale già pronta a confrontarsi e possibilmente già in possesso di un database contatti collaudato.
  5. Capire la cultura del luogo, e saperla raccontare: avere un’idea chiara dei gusti e dei costumi locali (diversi di regione in regione, ma anche di città in città) permette di costruire un immaginario da offrire al newcomer come dato qualitativo rilevante nell’interpretazione di bisogni, desideri e aspettative. Chi supporta dall’Italia l’azienda straniera dovrà anche fare da mediatore culturale, cercando il corretto modo di fare atterrare una visione nata in una cultura diversa nel contesto locale, secondo le sensibilità del posto (che potrebbero essere più o meno mature).
  6. Saper percepire la sensibilità su diverse tematiche, dall’attualità ai taboo, degli stakeholder del territorio per poter intervenire correttamente senza che si verifichino culture-gaps e crisi di comunicazione.
  7. Conoscere la normativa e le sue evoluzioni e i processi che regolano la nascita di leggi, per supportare il nuovo arrivato nell’avere aspettative giuste sui temi e i tempi del cambiamento e, quindi supportarlo per comprendere quando e come giocare le sue carte.

Infine, la ricerca di partner locali che condividano gli stessi valori e possano supportare collaborazioni e cordate di investimento sono tra le richieste più frequenti: il networking locale rimane al primo posto, ma deve essere garantito da serietà e condivisione di visioni.

Comunicare la professionalità tra aria fritta e lavori innovativi

Diciamolo: il wording è essenziale quando si cerca di sottolineare valori personali e configurazioni di qualità che dovrebbero rendere noi o il nostro contributo ad un lavoro unici.

Valorizzare le proprie competenze passa spesso attraverso il definire la propria professionalità con termini stranieri e neologismi che dovrebbero aiutarci a far comprendere meglio le nostre caratteristiche e capacità speciali, cosa molto utile oggi, date le tantissime nuove professioni che richiedono una configurazione di skills anche insolita rispetto a quelle possedute per affrontare i lavori nel passato.

Perché nascono nuove qualifiche? O perché una professione tradizionale richiede nuove competenze, o perché nuovi bisogni e l’innovazione fanno nascere nuove professioni… o per ostentare un po’, dandosi un posizionamento diverso ad uno precedente magari fallimentare.

Comunicare la diversità in azienda

La gestione della diversità è una sfida sempre attuale che negli ultimi anni sta assumendo sempre più importanza per ogni Organizzazione.
Indipendentemente dalle dimensioni dell’attività e dal settore,  l’imprenditore dovrebbe sempre farsi delle domande in merito alla propria capacità di creare valore partendo da apporti di natura differente e non si parla solo di gestione, bensí della capacità di far aderire il team ad un cambiamento culturale profondo.
Obiettivo primario, al quale una buona comunicazione contribuisce largamente, è quello di evitare che il valore resti imprigionato sotto il peso di linguaggi indecifrabili, preconcetti, differenze non ben codificate che creano distanza e incapacità di mettersi nei panni altrui.