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Comunicare la professionalità tra aria fritta e lavori innovativi


Diciamolo: il wording è essenziale quando si cerca di sottolineare valori personali e configurazioni di qualità che dovrebbero rendere noi o il nostro contributo ad un lavoro unici.

Valorizzare le proprie competenze passa spesso attraverso il definire la propria professionalità con termini stranieri e neologismi che dovrebbero aiutarci a far comprendere meglio le nostre caratteristiche e capacità speciali, cosa molto utile oggi, date le tantissime nuove professioni che richiedono una configurazione di skills anche insolita rispetto a quelle possedute per affrontare i lavori nel passato.

Perché nascono nuove qualifiche? O perché una professione tradizionale richiede nuove competenze, o perché nuovi bisogni e l’innovazione fanno nascere nuove professioni… o per ostentare un po’, dandosi un posizionamento diverso ad uno precedente magari fallimentare.

Tra queste denominazioni di  nuove qualifiche, quindi, non di rado si nascondono delle trappole, sia per chi assume sia per chi si vende e sia per il resto del mercato che sta a guardare e talvolta lascia spazio alle mode facendo proliferare decine di sedicenti junior empowerment storyteller, qualitative usability executive, creative sponsoring master, digital visual scientist, economy philosopher, viral innovation leader..tutti aventi in comune una certa predilezione per la vendita di aria fritta e servizi post vendita vari ed eventuali ;).

Un caso diverso si presenta quando, per impressionare un po’ lo stakeholder, si coniano qualifiche riprendendo definizioni che provengono dal gergo di settori specifici e indicano qualità e lavori ben definiti.. non possedendo però davvero lo skillset necessario. Un esempio. Credo che quasi chiunque nel mondo delle startup e finanziario, ultimamente,  abbia conosciuto un “rainmaker” (e si sia chiesto questa persona, quando si siede alla scrivania di mattina, di preciso, COSA FA??). Il rainmaker è quello che fa succedere le cose e la definizione si rifà al gergo finanziario nel quale si ci riferisce con tale termine a personalità con forti relazioni e molto autorevoli in grado di far concludere grandi operazioni a big player di mercato. Strano che cinque anni fa non se ne sentisse parlare in modo cosí diffuso, eppure le grandi operazioni finanziarie non hanno iniziato ad esserci da un paio di anni, qualcuno le ha sempre curate e portate a termine con successo senza definirsi rainmaker.  Oggi questa definizione di qualifica è molto diffusa, ad esempio, tra giovanissimi aspiranti investor relator  di realtà molto piccole, che non hanno per nulla a che fare con grandi player o operazioni finanziarie e che non hanno soprattutto esperienza in tal senso. Io ne ho conosciuti anche alla prima esperienza lavorativa (???)  e vi assicuro che non solo non facevano e non avevano mai fatto succedere grandi operazioni, ma non avevano l’esperienza neppure per far succedere un incontro con un finanziatore finalizzato alla trattativa (semplicemente perché magari mancava una lista di contatti o relazioni solide).

Questo aspetto, che sembra un dettaglio, su cui molto spesso mi sono trovata a scherzare con colleghi a caccia di risorse con skills avanzate, in realtà può avere un sacco di riscontri consistenti (sia positivi che negativi), dove il primo negativo tocca il professionista che, abituato alla mentalità del mercato del lavoro italiano, poi si propone nella stessa maniera su mercati stranieri senza capire il danno di credibilità che si sta auto infliggendo e lavorando male sul personal branding.

Darsi delle qualifiche inesistenti, non solo non impressiona nessuno, ma pone un ostacolo  all’opportunità che domanda di lavoro e offerta si incontrino. Per chi deve vendersi, far capire bene al recruiter  qual è il proprio skillset è fondamentale per avere delle chances, per chi offre lavoro, è importante far capire bene che skillset si cerca, al di là di definizioni originali nelle quali il bravo candidato che cerchi (e che non è abituato a definirsi in tal modo) potrebbe non riconoscersi e che lo spingerebbero a non applicare.

Tutto questo però non vuol dire che le qualifiche originali esistano sempre per mascherare l’inconsistenza della professionalità e una formazione/esperienze passate poco orientate o per ostentare insiderness e sofisticazione.

Tutt’altro, infatti, moltissime qualifiche nuove corrispondono a professionalità davvero innovative e rappresentano configurazioni di skills che tempo fa non assumevano un significato con riferimento alla capacità di affrontare un certo incarico.

Come riconoscerle? Per chi assume e per chi vuole vendere la propria professionalità, la logica per trovare fondamento in un nome di qualifica è quella di trovare una corrispondenza solida tra il mix di esperienze reali in cv+mix skills personali+valori professionali+asset attraverso cui svolge il proprio lavoro e nome della qualifica presentata.

Il punto è anche un altro: che spesso invece le qualifiche esistono e si riferiscono a figure professionali reali, ma chi assume non riesce a capire chi sa fare cosa nello specifico. E’ il caso delle nuove professioni digitali o delle professioni della comunicazione, le prime che, per la vicinanza del settore con il mondo del marketing, hanno iniziato a produrre denominazioni e qualifiche ai più poco chiare (chi conosce con precisione la differenza di skills e tra un campaign planner, un campaign manager e un media narrative designer?). In questo caso per capire chi abbiamo di fronte bisogna conoscere i processi su cui il suo lavoro si basa e la suddivisione in fasi degli stessi, perché il professionista potrebbe essere specializzato in una fase super specifica di un processo complesso (che non conosciamo nei dettagli al punto di contestualizzare le skills di chi abbiamo di fronte). In questo caso l’onere di chi offre la propria professionalità è quello di non dare nulla per scontato, spiegando a monte della propria presentazione, in funzione di quale processo ha sviluppato uno skillset così specifico.

E, raccontandolo bene,  dimostrerà di possedere anche la capacità di interagire in merito al proprio lavoro con il resto del team, la conoscenza più ampia del processo che lo vede coinvolto magari in una sola fase e non sarà considerato come una risorsa con competenze troppo verticali.