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Armi di distrazione di massa nelle mani delle imprese


Ultimamente si sente molto spesso parlare di armi di distrazione di massa in merito alla pratica sempre più frequente da parte dei decision makers pubblici di far convergere su argomenti “out of topics” l’attenzione dell’opinione pubblica, allo scopo di evitare di affrontare temi ben piú interessanti e spinosi che, se posti al centro del dibattito pubblico, potrebbero mettere in crisi la loro credibilità.

Forse non ci pensiamo spesso, ma questo meccanismo può essere utilizzato anche dall’impresa che vuole eludere l’attenzione dei suoi pubblici di interesse rispetto a questioni fondamentali ma potenzialmente scomode  che, se date in pasto agli stakeholders interni o esterni, potrebbero originare una crisi di comunicazione e credibilità.

Se i vecchi libri di testo parlano di “comunicazione manipolatoria” creata dall’impresa  riferendosi soprattutto alla pubblicità e alla comunicazione prodotto, quello che accade quando l’impresa manipola la comunicazione nella relazione con gli stakeholders e con i media ha a spesso a che fare con dinamiche (spesso interne) ben più cavillose del doversi semplicemente differenziare dal mercato e trae le sue motivazioni da due principali bisogni strategici: quello di conservare il patrimonio relazionale e quello di garantire solidità alla reputazione e, quindi, alla brand equity.

Chi sono i target della comunicazione manipolatoria quando ad attivarla è l’impresa?

  • I clienti
  • Lo staff, i dipendenti, i fornitori
  • I portatori di interesse
  • Gli organismi di controllo, enti regolatori e il mondo della giustizia
  • I decision makers
  • I gruppi di rappresentanza di interessi che riguardano la missione d’impresa
  • La comunità e gli attori locali, che hanno un rapporto di prossimità con l’impresa e sui quali le sorti dell’impresa di ripercuotono

Quali sono gli scopi?

Se il target è interno, il ricorso a determinate azioni di distrazione può essere finalizzata ad evitare l’acutizzarsi o lo stabilirsi di una crisi di comunicazione o in generale alla conservazione della leadership (es. di fronte a fatti che mettano in crisi la credibilità del management, o a dinamiche disgregative attivate ad un processo di change management che non si attiva o non si sappia gestire, dovuta a dinamiche di natura sindacale,..)

Se il target è esterno può avere lo scopo di distogliere l’attenzione esterna da cambiamenti molto importanti all’interno dell’azienda: cambiamenti in negativo, che ne pregiudicano la reputazione e la continuità, ma anche positivi dove ad esempio non si vogliano scoprire le proprie carte e si vogliano differire ai competitors informazioni su nuove maggiori opportunità di crescita (rumors che potrebbero attivare il mercato).

Non sempre, dunque, c’è di mezzo la concorrenza scorretta, l’elusione di princìpi etici, spesso sottende a queste scelte di comunicazione “estreme” solo il non volersi esporre su questioni più o meno delicate con pubblici di cui non si conoscono  aspettative e riferimenti valoriali, per non precludersi la relazione. La desiderabilità sociale e il desiderio di mantenere intatto l’elemento trust e un buon livello di reputazione in questo caso possono  essere leve fondamentali.

Perché queste tecniche spesso funzionano?

Per il principio della comunicazione interpersonale: gli stakeholders parlano tra di loro per orientarsi nel mercato, negoziano le proprie posizioni, si lasciano influenzare desiderando di essere accettati, quindi assumono posizioni di convenienza e cercano di evitare l’isolamento e l’impopolarità.  E si attaccano ai rumors negoziando con i loro pari interpretazioni dei fatti che li riportino alle proprie posizioni latenti, permettendo loro di giustificare telune scelte che non trovano altra legittimazione razionale.E i rumors sono alimentati dal fatto che, diciamolo, tutti hanno bisogno di argomenti piú “leggeri” e lontani dal proprio focus di attenzione quotidiano. Funzionano insomma, perché l’opinione pubblica è sempre in divenire, ha bisogno di alimentarsi e segue percorsi imperfetti, dove la ricerca della verità è talvolta un’opzione residuale.

Ecco quindi alcuni modi che possono essere utilizzati all’interno e all’esterno dell’azienda per girare intorno i temi caldi, sia ponendone altri all’attenzione, sia manipolando la forma delle argomentazioni.

Minimizzare aspetti fondamentali: ad esempio attraverso la modifica del contesto, o annegando un fatto in un insieme di altre informazione per renderlo infine una “sfumatura”.

Screditare: ad esempio, riferendo rispetto ad un certo fatto solo le verità che sono insieme desiderabili e verificabili, per orientare il senso di fiducia del target facendo leva sul suo sistema di valori e sulla sua maggiore o minore possibilità di accedere alle prove.

Verità opposte non verificabili: puntare l’attenzione sul confronto tra due verità entrambi non verificabili, lasciando il beneficio del dubbio sulla reale interpretazione dei fatti. Anche l’uso del misto vero falso serve allo stesso scopo: in contesto di fatti non verificabili, richiamare l’attenzione su due o tre aspetti veri (rendendo accessibili le prove) potrebbe far assumere ad un racconto i tratti di una storia credibile o verosimile.

Distorsioni narrative e interpretative e frame building: non sono proprio mezzi di distrazione ma piuttosto modi utilizzati quando non si può proprio non trattare una questione pubblicamente, ma se ne vogliono smussare le asperità. Spesso a questo si abbina la strumentalizzazione del pensiero espresso dall’opinione pubblica secondo convenienza per rafforzare o minimizzare vari aspetti di una questione.

Il finto dibattito sulla questione ineludibile:  si sfruttano i preconcetti più comuni per rappresentare i fatti ad arte: la versione che conviene all’azienda è portata da una una parte autorevole, quella minacciosa è lasciata alle parole di opinion leaders poco affidabili (farsi promotore di un confronto, in questo caso, fa guadagnare all’azienda la posizione di presunta imparzialità e trasparenza).

Uso della psicologia inversa: consiste nel negare al target potenzialmente attento alla dinamica da nascondere la possibilità di verificare fatti del tutto irrilevanti che riguardano una questione collaterale, per attirare l’attenzione sulla questione secondaria e nascondere questioni davvero importanti. Un modo come un altro per spostare l’interesse e catalizzare l’attenzione su questioni non fondamentali, ma capaci di raccogliere l’interesse dell’opinione pubblica, che viene depistata.

Ingigantire argomenti poco significativi: la classica bolla, non sempre degna dell’attenzione mediatica, funziona anche nei contesti locali e a basso livello informativo. La bolla si usa quando è necessario guadagnare più tempo per risolvere e celare una questione.

La bufala aziendale: è una variante, e mentre tutti cercano la verità e si distraggono in gossip, nella stanza dei bottoni si affronta la vera questione.

Il gossip interno o l’importazione del gossip massificato in azienda: è un mezzo di distrazione di breve durata, ma che catalizza moltissimo l’attenzione distraendo e porta lo staff a scoprirsi nelle sue componenti emotive e psicologiche primarie, all’inizio attiva frenesia, poi sfocia nel gossip e finisce nel tacito ravvedimento collettivo e con il ritorno a relazioni mid formal in cui la voglia di esporsi nuovamente su questioni interne è più basso.

La strumentalizzazione dell’iniziativa a sfondo mediatico: tutto lo staff viene coinvolto perché l’azienda avrà un’occasione inattesa e non programmata di visibilità. Lo sforzo di tutti gli inconsapevoli staffer a farsi belli per l’opinione pubblica partecipa ad un tentativo del management di distrarre i pubblici interni su questioni bollenti, consapevole che domani il ricordo del team sarà positivo, quasi un’operazione epica portata avanti dal management, che ha avuto anche il cuore di valorizzare le persone.

Panico: consiste nel far scoppiare il panico e attivare la leva della paura su questioni interne che esulano l’argomentazione bollente, ma sicuramente meno gravi, scelta funzionale se rivolta all’interno dell’azienda (perché proiettata all’esterno chissà in cosa potrebbe trasformarsi, potrebbe diventare anche un’arma per i competitor e assumere connotazioni impreviste e incontrollabili). Quindi se da settimana prossima l’insalata non sarà più inclusa nel menù della mensa aziendale, con grande malcontento e rumors ai piani bassi, forse qualcuno ai piani alti sta gestendo una potenziale crisi ben più minacciosa.

Attivare visioni che richiedono un certo tipo di sforzo collettivo e attivare la competizione interna: tenere tutti impegnati nel raggiungere un obiettivo può essere un modo per non lasciare spazio alla riflessione. Portare l’attenzione sull’operatività quotidiana fa in modo che le riflessioni su questioni più grandi e il pensiero laterale vengano sepolti da timing restrittivi e scartoffie.

L’evento periodico: se sei un promotore finanziario o assicurativo sai che ci sono situazioni in cui il kick-off aziendale in cui si dovrebbe parlare di azienda a cuore aperto è (paradossalmente) in assoluto il momento di maggior distrazione da quelli che sono gli obiettivi e i temi caldi aziendali.

La prospettiva futura che preoccupa il team: portare l’attenzione su un rischio prospettato che accomuna tutto il team aiuta a renderlo coeso e più collaborativo e a distrarlo. Ma può essere anche un modo per preparare la squadra a ricevere cattive notizie metabolizzandole in fretta e difendendo l’azienda contro tutti.

L’Effetto McGurk: tanti stimoli sensoriali diversi e scollegati alla fine creano una percezione. Conoscendo bene il processo cognitivo del target si può manipolare il suo modo di processare un certo stimolo/informazione prevedendo che tipo si percezione ne conseguirà. Chi meglio di un manager d’azienda che osserva ogni giorno le dinamiche del proprio team può avvalersi di questo metodo?

Attivare il target intorno ad un dilemma o far piombare nella situazione un grosso problema prospettando enormi ricompense è un altro modo per gettarlo in un labirinto di congetture distraendolo dalla domanda madre che dovrebbe porsi. Le ricompense possono inoltre aumentare la motivazione ad occuparsi di una questione e il fatto che siano state definite ad hoc aumenta la sensazione che si stia ponendo i propri sforzi a servizio di un obiettivo davvero fondamentale.

Ricompense inaspettate: che generano gioia e distrazione, ma anche che restituiscono opportunità che c’erano ed erano sconosciute e sono state sottratte all’insaputa del team nel tempo e ora vengono riproposte come una novità. Gratitudine, rumors e distrazione a non finire terranno a bada gli animi per un po’ e potrebbero diventare persino un’opportunità di comunicazione di scelte virtuose (riciclate) all’esterno.

Creare un precedente per avere un’alibi su questioni non dimostrabili da esterni è un modo per confondere le idee e poter invalidare accuse o congetture che possono costringere l’impresa ad affrontare una questione, magari scoprendosi.

Dare spiegazioni inondando di scartoffie: il finto tentativo di trasparenza che rende impossibile la ricerca della verità e che, inoltre, inibisce la voglia di un oppositore di manipolare un’informazione o di trattarla. Sì, perché qui il rischio di perdere credibilità viene ribaltato su chi ha avuto tutti gli elementi per informarsi e, non essendo riuscito a recuperare il bandolo della matassa, potrebbe dare delle interpretazioni poco corrette venendo infine messo in dubbio sulla base di un cavillo e dichiarato fonte poco attendibile.

Perché la trasparenza non è solo una scelta etica ma un driver di competitività?

Perché, se può avere un costo alto, ha comunque un costo prevedibile e pianificabile: una balla che ti sfugge di mano può generarti danni infinitamente grandi, in momenti che non ti aspetti e in cui potresti non essere in grado di sostenere il peso delle conseguenze.

Perché ti permette di controllare la versione dei fatti restando una fonte autorevole: essere beccati legittima chi emette rumors a continuare in nome della ricerca della verità, tormentandoti e facendoti percepire come una fonte che non sarà mai chiara fino infondo su una questione. Non lasciarti inquisire da chi non è nella posizione di farlo, perché costui lo fa, di solito, sempre per difendere un interesse (magari sta anche lui distraendo i suoi pubblici e nascondendo i propri scheletri).

Perché gli errori li fanno tutti, e i problemi li hanno tutte le imprese, non ammetterli compromette la continuità e attiva elementi di disgregazione interna ed esterna.

Perché ammettere un problema a volte significa raccogliere l’opportunità di avvicinarsi alle opinioni e alle richieste dei pubblici di interesse, attivando il cambiamento e afferrando la chiave della competitività.