Last updated on

Le geometrie di una strategia di comunicazione migliorabile


Una delle tentazioni per eccellenza di chi si occupa di strategia di comunicazione è quello di partire dalla richiesta del cliente pensando a come accontentarlo, anche laddove alla richiesta sottendono informazioni che dovrebbero essere provate o che non tengono in considerazione che la comunicazione strategica funziona bene se integra correttamente diversi elementi.

Uno strategist non offre soluzioni preconfezionate ma percorsi per imparare ad orientarsi in maniera quasi autonoma tra le scelte e le opportunità che ad al cliente si possono presentare nei mesi e negli anni successivi. Per questo motivo l’applicazione di una strategia di comunicazione dovrebbe sempre avere un rapporto chiaro e indissolubile con l’attività di change management, che è quella che supporta l’introduzione di novità (culturali, tecnologiche, di processo) all’interno di un’organizzazione, come dire: inutile avere uno strategist guru se non si impara l’autonomia o non si assorbe la visione strategica in modo corretto e univoco.

Alle volte però il rapporto con il cliente non lascia via di scampo, lui oggi vuole un preventivo per la content strategy su LinkedIn e tu sai già che qualunque cosa gli offrirai senza tentare di analizzare le sue necessità nella loro globalità sarà qualcosa che nel percorso di collaborazione porterà problemi ad entrambi. Già, pare che ci sia una legge universale che domina l’attività di tutti i professionisti per la quale un giorno in più per capire dove andare ti bolla come uno che non è reattivo, mentre due o tre giorni in più per mettere le pezze a metà percorso siano sempre da prevedere.

Ed è su questi approcci (che per molti motivi sono parziali e quasi sempre sono orfani dell’attività di posizionamento iniziale) che si fondano alcune delle più comuni geometrie della comunicazione fallimentari, quelle opportunità di intervento che sembrano un modo smart e anche mirato per metterci una pezza, ma che in realtà danno luogo ad azioni che non comunicano correttamente con tutte le altre (che non è detto siano già integrate tra di loro). L’errore più comune che le origina è quello di concentrarsi  solo su un canale o quello di considerare porzioni di informazioni che in una situazione di analisi più approfondita e integrata potrebbero essere interpretate in rapporto ad un quadro più ampio generando tutto un altro tipo di valore.

1. Content strategy reverse

È tipica di quando vuoi mettere dei contenuti accattivanti ma non sai quali mettere, allora trovi un editor di richiamo esperto di qualche canale/settore che non conosce bene le regole di scrittura per il web e le opportunità che la content strategy, a seconda del mezzo o dell’integrazione di mezzi di comunicazione su cui si basa, può aprire. Diversificazione dei contenuti, mappatura della customer journey, contenuti in versione seo, attività di conversion marketing.. e si, la content strategy non è quello che mettiamo nel web, è tutta la strategia che ci sta a monte che non riguarda solo il digital e che richiede coerenza tra valori, obiettivi di business messaggi e modalità di diffusione degli stessi. Keep calm, se non ce l’hai, fai compagnia a milioni di aziende nel mondo, anche tra quelle americane solo una su tre ha una content strategy formalizzata attraverso un documento dedicato.

2. Power point strategy

È la preferita di alcuni capi ed è la trappola di molti colleghi che invece saprebbero bene come certe cose devono essere fatte! Si tratta della strategia che resta sulla carta (ma come facevano i CEO di una volta senza i power point?) e che, in quanto tale, non ha veramente bisogno di porre alle sue basi un serio lavoro di ricerca e approfondimento e non giustifica un lavoro veramente serio finalizzato a mettere in rapporto tutti i mezzi, le capacità performative di alcuni messaggi rispetto ad altri.

Anche i cambiamenti che descrive non sono sempre cambiamenti che avverranno (o sono la ratifica di strade che sono già state prese dalle divisioni d’azienda, e magari non è neanche rappresentativa di tutte visto che alcune divisioni operano come hanno sempre fatto negli anni). Se resta sulla carta vi farà fare un figurone, è senza dubbio un modo di fare strategia che va bene finché non ci sono problemi di performance e che forse sarà rivista quando una crisi o una brutta congiuntura di mercato costringerà l’azienda a rimettersi in discussione ripartendo dai valori.

3. Strategia di comunicazione debole con shopping compulsivo

Insieme ai leader di mercato che, si sa, hanno costruito imperi sulle proprie strategie, con grandi risultati di visibilità fondati anche sui copiosi investimenti in pubblicità e azioni di comunicazione che riguardano i mercati mondiali, ci sono moltissime aziende che emulano questo approccio “per esserci” e facendo shopping compulsivo casuale senza una strategia alla base e senza che certe scelte di investimento siano parte di valutazioni programmate per tempo e inserite in un contesto di valorizzazione di risorse e azioni più sostenibili e magari più efficaci e costanti.

In questo mondo di piccoli contribuenti dell’adv, ci sono molte realtà per cui davvero questo shopping non è strategico, perchè hanno poco budget e necessità di emersione che necessitano di un approccio molto integrato o ad esempio molto basato sulle relazioni. E tutti sono convinti di pianificare la propria comunicazione, giacché in effetti il piano media è una delle poche forme di pianificazione degli investimenti tangibile esistente in alcune aziende per cui è riconosciuta la presenza di un planner che lo faccia di professione. E chi non lo fa accumula budget perchè sa che arriverà il momento dell’anno in cui, non avendo lavorato con costanza, avverrà quel closing che necessiterà della copertura dei media.

4. Strategia della startup innovativa dissociata dalla metodologia

Va bene, hai una startup innovativa, e va bene anche che il conversion marketing è ormai indispensabile in ogni strategia integrata che si rispetti, ma una buona strategia, soprattutto se cerchi ancora il posizionamento di mercato e la tua value proposition, non puoi costruirla partendo solo dal conversion marketing e considerando solo gli utenti del web, perché lì fuori c’è un mondo che si aspetta di confrontarsi con un’impresa che comunica in modo integrato e per il quale, per quanto innovativo sia il tuo prodotto e il tuo approccio, gli arredi del tuo ufficio, sei in realtà un’impresa che funziona come tutte le altre.  E in più stai usando un mezzo molto potente, non proprio il posto giusto per esporti in una serie infinita di pivoting.

Vuoi comunicare? Parti da qualcosa a cui hai pensato bene e e che hai approfondito tramite metodologie quantitative e qualitative anche tradizionali, poi portalo in rete e misuralo, riposizionalo e misuralo nuovamente. Non nascondere dietro all’innovazione dei processi il fatto che non hai fatto un lavoro serio sui valori posizionali, sui messaggi e sulla selling proposition rispetto ai vari target cui indirizzi la tua strategia, hai ancora tempo, non sei esente dalle leggi di mercato e hai bisogno anche tu di una strategia di marketing che si rifaccia ad una metodologia. E anche la comunicazione ha regole ben precise e prima o poi pianificare ti servirà, se non altro per aver controllo dei tuoi investimenti.

5. Le Media relations intermittenti

Ovvero la tendenza ancora attuale ad aspettarsi che davanti al tuo primo closing il mondo intorno si fermi dedicandoti la pagina (su versione cartacea) della più influente rivista di settore grazie ad una telefonata improvvisa di un qualunque addetto stampa assoldato il giorno prima. Anche questa pratica fa parte di una geometria di comunicazione errata che vorrebbe includere attività di media relations e public relations e talvolta azioni digital senza il collante fondamentale di una sintesi ben fatta dell’identità, dei valori e degli obiettivi comunicativi di breve e lungo termine dell’azienda.

Sembrerà banale, ma il racconto di un’impresa non è solo quel che fa, ma è piuttosto quello che è nel quotidiano e quello che vorrebbe essere, come ne parlano i suoi stakeholder, come il brand vive e attivo nella quotidianità dei clienti, come è percepito e come si adatta alle diverse culture del mondo. Ai lettori interessano i successi, ma piacciono le storie, se hai tanto da dire dillo in modo organizzato, se non sai cosa dire inizia a costruire partendo dalle dimensioni più profonde.