Siamo nell’era della competizione, diretta e indiretta, e che lo vogliamo o no i competitor possono determinare le nostre scelte sia in modo positivo che, altre volte, in modo negativo. Le loro decisioni, più o meno consapevoli, possono spingere il tuo business verso un’altra nicchia o mercato che magari non avevi considerato e possono costringerti a fare scelte che determinano investimenti che magari non avevi programmato o che vedevi lontani.
Cose che un marketer deve sapere sulla Gen Z
Dopo essersi occupati di affrontare i Millennials, pionieri digitali che oggi hanno circa 25-35 anni, i brand del mondo si trovano davanti alla sfida di parlare ad un altro mondo, quello della Gen Z, ovvero i nati tra il 1997 e il 2012. Gen Z è oggi il sinonimo di nativi digitali e consumatori di domani, giovane e attento a tematiche a cui invece sono meno sensibili le generazioni passate. Inclusione, sostenibilità ambientale, diritti umani, eguaglianza, attenzione al denaro e attivismo, in generale, sono i valori guida di questa generazione.
La Gen Z è la prima ad essere considerata vera nativa digitale, nata in un mondo high-tech con Internet come parte integrante della sua quotidianità. E come sappiamo un buon uso di Internet permette di essere altamente informati e critici, anche verso i propri consumi.
Perché è così importante per i brand di oggi rispondere ai bisogni dei giovani acquirenti della Gen Z? Secondo uno studio di Bain&Co le nuove generazioni Y e Z valgono ad esempio, già ad oggi, un terzo del mercato del lusso e si stima che saranno proprio loro a guidare la crescita del mercato, fino ad arrivare a coprire (nel 2035) l’80% dei consumi. Una quota, quindi, davvero rilevante che va ascoltata, mettendosi nei loro panni, studiandone bisogni ed abitudini. Così sarà possibile creare strategie ad hoc in grado di generare engagement nonché di aumentare il livello di fiducia e loyalty di questa nuova categoria di consumatori nei confronti del proprio brand.
Il Fair Trade nella comunicazione d’azienda
Il fair trade, o commercio equo–solidale, mette al centro della relazione commerciale la dignità dell’uomo e il rispetto per l’ambiente.
L’obiettivo? Trasformare il commercio globale promuovendo condizioni di scambio più eque, in modo che tutti i produttori di materie prime possano vivere e lavorare in modo sicuro e sostenibile, realizzare le proprie potenzialità e decidere del proprio futuro. In una parola: empowerment.
Quindi un prodotto fair trade aiuta a garantire ai produttori una stabile e corretta retribuzione, favorendo lo sviluppo delle loro attività e permettendo loro di imboccare una strada per uscire dalla povertà.
Ecco che ritorniamo ai principali Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SGDs):
Modelli di business a confronto e business design
Forse già lo sai, il posizionamento di mercato differenzia l’offerta in base alle caratteristiche di prodotto, al prezzo e all’esperienza utente che un’impresa offre. A livello di definizione strategica di un posizionamento complessivo, si definisce un posizionamento di mercato subito dopo aver definito i valori posizionali, mentre il posizionamento del brand (come identità e immagine) e quello della comunicazione arrivano immediatamente dopo.
Fare un posizionamento di mercato è possibile se si ha modo di accedere a dati specifici sul contesto di mercato mettendoli a sistema con gli elementi che contribuiscono al modello di business dell’impresa, ovvero quegli elementi che, combinati, permettono all’impresa di produrre valore per i suoi target e per il contesto di riferimento.
Lo schema di un modello di business, quindi, parte spesso mettendo al centro i valori posizionali e di prodotto riconosciuti dai target di riferimento, per definire successivamente quali scelte imprenditoriali incidono sulla catena del valore.
Un modello di business deve essere sempre pensato per funzionare nel presente, lasciando aree di flessibilità operative e di processo che consentano di fare adattamenti tempestivi e quel fine tuning/upgrade programmato che, se possibile, è anche alla base della resilienza dell’impresa nel momento della crisi.

L’avrai probabilmente gia incontrato se ambisci ad organizzare la tua idea di impresa mettendo a sistema tutte le informazioni fondamentali: questo grafico, presentato per la prima volta nel bestseller “Business Model Generation” di Osterwalder-Pigneur, e’ una struttura semplice e standard che serve al business design. Con questo schema gli elementi che compongono un modello di entrata e permanenza sul mercato sono messi a sistema e vengono alla luce: target, risorse, capitale relazionale, canali, ricavi attesi e processi necessari alla realizzazione di una strategia di go to market sono li davanti ai tuoi occhi. A te rimane il compito di trovare la combinazione di elementi che, nella maniera più inedita e memorabile, permette di trasferire al target il massimo del valore (come percepito dal cliente finale) con una combinazione accettabile di risorse ed effort e di garantire questa trasformazione e cessione di valore in un’ottica di sostenibilità economica e scalabilità.
Il modello sopra descritto, quindi, ti aiuta a comprendere e descrivere in modo semplice ma non banalizzante le componenti del tuo progetto che ti supportano nel produrre e trasferire valore, e le strutture organizzative e risorse necessarie a farlo funzionare.
Come descrive il testo di Osterwalder-Pigneur, di fatti, il modello di business descrive la logica in base alla quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore.
Come la pandemia ha rafforzato il legame tra sport e digitale
Il periodo post pandemico la Cina ha visto crescere l’importanza dello sport, l’attenzione al benessere e alla cura di sè.
Il confinamento forzato, in particolare, ha rafforzato il già solido legame tra mondo dello sport e digitale, entrambi già accomunati dalla forza con cui producono impatto economico e sociale nel mondo, rendendo il primo ancora più globalmente accessibile e ancora più veicolo universale di valori sociali.
Che molta dell’economia legata al mondo dello sport si regga sul marketing non è una novità e proprio la svolta digitale della comunicazione e del marketing ha dunque assottigliato la distanza tra brand sportivi e canali di diffusione digitale. Considerando poi che, con la pandemia, l’impossibilità di praticare sport di squadra e partecipare a manifestazione sportive, ha alimentato molti trend che avevano già messo un piede nella porta – come la proliferazione di contenuti online e app per l’allenamento da casa, le lezioni a distanza (nell’ambito dei servizi sportivi alle persone) – si può dire che in generale il confinamento abbia aumentato l’orientamento di tutti gli operatori del settore dello sport ad affrontare la transizione digitale, ponendo una maggior cura per tutti gli aspetti dell’esperienza utente su piattaforme e tramite una customer journey multicanale che completa l’offerta di servizi ed esperienze sportive.
Hate speech e brand-hate. Cosa danneggia davvero l’impresa?
Leoni da tastiera nascosti dietro uno schermo, identità fittizie, fake reviews, haters scatenati sulle piattaforme di peer to peer recommendation, ma anche stakeholder infedeli e a volte fonti molto autorevoli vessano i brand spesso molto più di quanto possano fare pratiche illecite di mercato e la contraffazione (che nonostante sia da bandire e punire, esiste anche perché i prodotti del brand sono ambiti e la marca ha saputo creare “il sogno” nella testa del consumatore).
L’hate speech è quel tipo di incitamento all’odio che in molti casi ha scopi discriminatori. Non ne sono vittima solo le persone, ma è originato soprattutto da singoli.
Parlando di web: le persone incapaci di avere un rapporto sano con la tastiera non sono tutte uguali: se i troll e i flamer (definizione molto anni ’90) sono persone che seminano zizzania conoscendo perfettamente i meccanismi delle conversazioni in rete, gli haters sono persone che rendono visibile attraverso l’utilizzo della rete un proprio limite di tipo comportamentale-espressivo o che esprimono disagio in modo scoordinato e impetuoso, non essendo in grado di confrontarsi adeguatamente ed esprimersi in modo pacato (per vari motivi, che non rappresentano una giustificazione, ma che possono fare di ognuno di noi un po’ un hater in un determinato momento).
Proteggi il tuo brand dal dumping sociale ed ambientale
Il dumping è una pratica per cui le grandi imprese introducono un un determinato mercato dei prodotti a un prezzo molto inferiore rispetto a quelli normalmente praticati nello stesso. Questa pratica é possibile per diverse ragioni, tra cui l’erogazione di sussidi statali provenienti dai paesi di origine di tali produzione, la sovrapproduzione di un determinato prodotto (che porta la produttrice a decidere di venderne le eccedenze su mercati diversificati), ma anche la possibilità per il produttore di abbattere i costi di produzione (persino grazie a pratiche poco etiche) e quindi uscire sul mercato con un prezzo molto competitivo.
Tutti cambieremo dopo il COVID19. Come ritrovare gli stakeholder con il Value design e ripartire insieme
Con il passare dei giorni e con la prospettiva che l’emergenza Coronavirus possa portare via altre settimane di attività, lavoro, ricavi e relazioni alle imprese, si sta rendendo evidente una questione che all’inizio di questa epidemia poteva sembrare trascurabile.
La questione è che stiamo avendo tanto, anche troppo tempo, per fermarci a pensare e, oltre tutto, queste settimane ci stanno cambiano profondamente, come individui e come imprenditori e al rientro da questo periodo in cui tutto pare essersi un po’ bloccato saremo tutti un po’ diversi e avremo tutti rimesso ordine nelle nostre priorità valoriali, operative, commerciali, lavorative.
Cattiva informazione e limiti nel godimento dei diritti personali: quali le responsabilità?
Mai come in questo particolare momento storico la comunicazione gioca un ruolo fondamentale: una notizia inesatta o distorta che circola su internet in tempo reale ha la capacità di far alzare o abbassare inutilmente il livello di tensione, diffondendo psicosi e paure tra le persone, poi contenendo erroneamente la percezione del pericolo con conseguenze ancora piú gravi e infine provocando comportamenti poco razionali e critici anche in forza di una percezione di scarsa affidabilità delle fonti informative.
Coronavirus e comunicazione di crisi-Vademecum
In queste ore arrivano in studio diverse richieste di aziende che iniziano a subire i colpi dello spauracchio Coronavirus. Ci sono quelle che stanno prospettando i rischi e le perdite causate dalla paura o diffidenza da parte dei clienti e distributori rispetto alle merci uscite dai loro magazzini italiani, le aziende con merci bloccate in dogana, quelle che non sanno come rispondere alle domande incalzanti o se ribattere ai rumors sui social, addetti alla comunicazione che devono rassicurare stakeholder e azionisti, altri che non hanno ancora trovato il modo di trattare il tema con la loro community…E infine organizzazioni paralizzate che stanno subendo perdite o ritardi, conseguenza delle ordinanze e circolari che si succedono in queste ore, costrette a navigare a vista.