Comunicare il fallimento è strategico?

E’ ufficiale: comunicare insuccessi e fallimenti sta diventando un trend. Da un po’ di mesi soprattutto su LinkedIn, il social che ospita molti contenuti sulla cosiddetta “company life” appaiono storie e racconti dove l’insuccesso è considerato come elemento e driver di crescita e di acquisizione di una maggiore consapevolezza, in particolare in merito alla presunta maggiore capacità di chi ha provato il fallimento nel portare avanti un’altra avventura più consapevolmente.

Non mi soffermerò sulla consistenza di questa affermazione – la mia personale opinione è che ogni progetto sia unico e che le variabili che determinano il successo non siano sempre legate a fattori replicabili, cosí come, i fattori che inducono ad un insuccesso, se non individuati e ben interpretati, possano non insegnarti un bel niente.

Piuttosto mi sono chiesta, ogni volta che mi sono imbattuta in un contenuto simile, se raccontare un insuccesso possa costituire dal punto di vista della comunicazione un’ opportunità.

Idee d’impresa forti e virtuose: su cosa puntare per farle durare nel tempo?

La competitività sui mercati e le maggiori opportunità di accrescere il proprio fatturato dipendono dai valori e dagli investimenti in CSR?

Lo diciamo sempre, i valori danno un enorme boost all’azienda, ed è anche per questo che oggi essere virtuosi conviene, e avere un business model basato sull’accrescimento della capacità di generare impatto positivo esterno rendendo accessibili le innovazioni dà davvero un enorme vantaggio competitivo in particolare alle startup.

Inclusione, accessibilità, impatto sociale, CSR e sostenibilità sono proprio temi chiave della comunicazione di oggi e sono temi fortemente attuali nel dibattito pubblico e anche politico, nessuna azienda può osservare immobile il mondo che cambia senza adeguarsi alle sue dinamiche e senza mostrare sensibilità verso alcuni paradigmi comunicativi.

Chi ha un’idea virtuosa e forte e comunica valori etici e impatto esterno, puntando anche sulla trasparenza dei processi, ha molti vantaggi? Sì. Tra questi, visibilità, awareness, maggiori possibilità di export su mercati evoluti dal punto di vista dell’adozione di modelli di consumo etici, negoziazione di premium prices con altre organizzazioni sulla filiera, focalizzazione dei valori nel business model, qualità delle relazioni, controllo della catena del valore e spesso anche la possibilità di ottimizzare i processi

Se fai queste cose non sei lean

Avrai sentito parlare di lean management come di un metodo per trovare la competitività della tua offerta e della tua impresa in tempi record, alle stesso tempo riducendo gli sprechi di risorse e creando valore per il tuo cliente. Ti avranno spiegato anche come il lean management sia una guida per la sistematizzazione dei processi aziendali laddove non siano stati ben definiti o non producano efficienza.

Il lean management è proprio questo, consiste nell’applicazione dei principi di Lean Thinking e si rifà al Toyota Production System (ma non solo) e, se correttamente interpretato, produce miglioramenti oggettivi di natura sia qualitativa che quantitativa nel management dell’azienda e ti allena a guardare  alle tue risorse e dentro ai tuoi progetti senza preconcetti e condizionamenti, in modo costruttivo e autocritico dove serve.

Il Lean Thinking è un modo di guardare alla propria azienda apprendendo informazioni su di essa allo scopo di migliorare la cultura interna, il mindset, gli strumenti, le metodologie in uso, le policies e le regole generali che ne governano la vita.

Anche i finanziatori devono farsi belli per piacere alle startups

  1. Siamo troppo abituati a chiederci cosa i finanziatori e potenziali investitori cercano in una startup da non chiederci quasi cosa cerca una giovane impresa in queste figure così mitizzate.
Non tutti i match denaro fresco immediatamente disponibile – istinto di sopravvivenza,  sfociano infatti in una duratura storia di condivisione e amore benché, come in tutte le relazioni, l’immediata risposta iniziale ad un bisogno fortemente sentito dal team aiuti l’infatuazione a prendere il posto di ogni preoccupazione.
Le scelte sbagliate avvengono sempre quando mancano risorse e tempo: l’assoluta urgenza di rinforzare lo staff nell’immediato, finanziare un progetto innovativo, investire in ricerca e sviluppo, investire in visibilità e comunicazione, ti inducono a vedere l’ingresso di un finanziatore come una soluzione immediata ai problemi, quindi, a risparmiare sul tempo che dedichi alla ricerca di informazioni e alla selezione delle persone a cui poi ti troverai a dover rendere conto (cosa che può indurti a problemi ben più grandi di quelli che credi di avere oggi).

Come i bias cognitivi inducono le startup a raccontarsi usando i fake

 

Stare sul mercato per una piccola impresa o per una startup, oggi, è un’impresa ardua, prima di tutto perché la capacità di attirare l’attenzione degli stakeholders (da quelli industriali a quelli mediatici) è funzione diretta della capacità di distinguersi, essere dei leader, fare numeri importanti e dimostrare di fare qualcosa che giustifichi appieno la propria esistenza in mezzo a tante iniziative ugualmente interessanti (spesso di piú) e che magari hanno più risorse per crescere.

Lavorando quotidianamente con le startup ho notato che ogni team pieno di entusiasmo soffre di bias cognitivi di valutazione che lo inducono a percepire il proprio progetto o troppo grande rispetto alle sfide che si accinge ad affrontare (perché non ne percepisce la complessità) o irrimediabilmente piccolo anche davanti agli adempimenti più basilari e alle piccole opportunità che incontra.

Ho notato come questa percezione di maggiore o minore forza inizialmente, è sempre direttamente collegata alla quantità di risorse a disposizione (denaro, persone, relazioni, beni e impianti). Chi ha molte risorse, in alcuni casi, non si preoccupa esageratamente di sviluppare senso critico su come dovrebbe essere affrontato il mercato e, in fatto di comunicazione, segue un po’ le mode, chi ne ha troppo poche si fa mille domande, non utilizza le poche risorse che ha cercando di non disperderle inutilmente e il risultato è l’immobilismo.

Come le scelte imprenditoriali descrivono competitività, paure e reale capacità di innovare

Ho scritto questo articolo per spiegarti come l’azienda comunica il proprio livello di competitività e fa percepire all’esterno forza innovativa, solidità e timori  solo attraverso le scelte imprenditoriali, ancora prima che inizi a fare comunicazione strutturata. Anche il fine tuning della comunicazione può supportare o sbilanciare un processo di crescita della competitività attivando dinamiche del mercato più o meno desiderabili per un’azienda in posizione challenging o per una startup che non ha ancora visualizzato bene gli incumbent sul mercato.

Affrontare il mercato e le relazioni con le altre organizzazioni ci conferisce oggi un forte spirito di osservazione e approfondisce la conoscenza che ogni azienda ha di tutte le organizzazioni che le circondano, permettendo di cogliere delle informazioni e avere percezioni che arrivano all’esterno, spesso molto prima di quei messaggi di comunicazione che diffondiamo tramite un piano di comunicazione strategica strutturato.

Nel proprio lavoro lo strategist di comunicazione impara a rilevare il posizionamento di un’azienda non a partire da quanto i membri dell’Organizzazione dichiarano di essere o voler far, ma dalle reali scelte aziendali, che si riflettono:

Trova i micro-influencers online e offline e gestiscili, in pratica

La scorsa settimana ti ho raccontato come nel mio lavoro quotidiano vedo crescere il ruolo dei micro-influencers e la compatibilità con gli obiettivi comunicativi di aziende di ogni dimensione, comprese startup e pmi.

Ti sarai chiesto però, una volta tenuto conto delle indicazioni generali su quelle che devono essere le caratteristiche desiderabili di un influencer che collabora con la tua impresa, come si fa nella pratica a distinguerli dalla massa, proporre una collaborazione, gestirli.  Ma la prima domanda che ti sarai fatto è: dove si va a cercarli?

Primo punto: quello che cerchi, non è detto si trovi già nella tua orbita (leggere: followers, relazioni personali e professionali online e offline, stakeholder). Certo è che una prima valutazione sui profili presenti nel tuo network attuale non puoi trascurarla.

7 regole d’oro per comportarsi da vero insider invece che fuffa

Influencer, insider, evangelist, advocate.. sono tutti termini riferiti a chi, per diverse ragioni, ha qualche interesse a sensibilizzare gli altri intorno ad argomenti specifici, costruendo massa critica.

Nell’articolo della scorsa settimana abbiamo raccontato per quali scopi e come nella pratica, si può in poco tempo sviluppare know how, skill set e mind set ad hoc per diventare (ed essere considerati) dei veri punti di riferimento su un tema specifico all’interno di una o più communities.

Insieme a raccontarti il come, però, ci tenevamo ad illustrarti 7 passaggi base che possono aiutarti a contestualizzare questo percorso dando credibilità e sostanza a questo, che è un vero e proprio lavoro se si considera l’investimento di tempo, risorse ed energie che richiede.

7 dritte pratiche per comunicare al meglio la tua value chain

Nell’articolo pubblicato la scorsa settimana abbiamo parlato di come conoscere quello che produce valore all’interno dei propri processi possa essere la chiave della competitività e di una comunicazione che ci aiuta a differenziarci dai competitor.

Dal lato della comunicazione ci sono diversi modi per raccontare i propri processi facendone percepire il valore reale e potenziale ai consumatori. Di seguito alcuni passaggi per mettere in campo una strategia di comunicazione costruita sui punti di forza della propria value chain.

1.Scomponi i tuoi processi e analizzali in profondità: le attività della tua impresa si dividono in attività primarie e secondarie. Le attività primarie sono packaging, etichettatura, controllo qualità, conservazione, spedizione, fatturazione, gestione degli ordini e dei resi e rapporto con il cliente, garanzia, servizio post vendita, aggiornamenti, formazione e supporto cliente,  le attività secondarie -o attività di supporto- sono legate invece a funzioni amministrative e legali, selezione e gestione delle risorse umane, ricerca e sviluppo del prodotto/servizio/ innovazione, procurement o adempimenti.

Le geometrie di una strategia di comunicazione migliorabile

Una delle tentazioni per eccellenza di chi si occupa di strategia di comunicazione è quello di partire dalla richiesta del cliente pensando a come accontentarlo, anche laddove alla richiesta sottendono informazioni che dovrebbero essere provate o che non tengono in considerazione che la comunicazione strategica funziona bene se integra correttamente diversi elementi.

Uno strategist non offre soluzioni preconfezionate ma percorsi per imparare ad orientarsi in maniera quasi autonoma tra le scelte e le opportunità che ad al cliente si possono presentare nei mesi e negli anni successivi. Per questo motivo l’applicazione di una strategia di comunicazione dovrebbe sempre avere un rapporto chiaro e indissolubile con l’attività di change management, che è quella che supporta l’introduzione di novità (culturali, tecnologiche, di processo) all’interno di un’organizzazione, come dire: inutile avere uno strategist guru se non si impara l’autonomia o non si assorbe la visione strategica in modo corretto e univoco.

Alle volte però il rapporto con il cliente non lascia via di scampo, lui oggi vuole un preventivo per la content strategy su LinkedIn e tu sai già che qualunque cosa gli offrirai senza tentare di analizzare le sue necessità nella loro globalità sarà qualcosa che nel percorso di collaborazione porterà problemi ad entrambi.